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Newsletter Giugno 2023

Giuri Associati

29 giu 2023

Newsletter energia e ambiente (giugno 2023)

Argomenti trattati:



  • Comunità energetiche: illegittimità della legge regionale dell’Abruzzo che assegna alla Giunta Regionale il potere di definire i requisiti dei partecipanti alle comunità (Corte costituzionale, sent. 23 marzo 2023)


  • Distribuzione gas: calcolo del valore di rimborso delle reti nelle concessioni assegnate con gara dopo l’entrata in vigore del decreto Letta (TAR Piemonte, sentenza 29 marzo 2023)


  • Distribuzione gas: avvio della riforma del Codice di rete tipo della distribuzione gas (ARERA, delibera 6 giugno 2023, n. 249/2023/R/gas)


  • Gestione rifiuti urbani: esame della richiesta di adeguamento del corrispettivo per la gestione rifiuti in base all’art. 106, comma 1, del d.lgs. 50/2016 (TAR Milano, sentenza 20 marzo 2023)


  • Vendita energia: il potere di ARERA di ordinare alle società di vendita di restituire le somme percepite indebitamente dai clienti non contrasta con la direttiva 2009/72/CE (Corte di Giustizia, sent. 30 marzo 2023)



Buona lettura!


Luigi Giuri



COMUNITA’ ENERGETICHE

La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità della legge regionale Abruzzo (Corte Cost. 23.03.2023, n. 48)

La Regione Abruzzo, con la legge 8/2022, ha previsto interventi per la promozione delle comunità energetiche rinnovabili (CER). Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato ricorso alla Consulta contro alcune norme della legge regionale.


La Corte ha dichiarato illegittimo l’art. 9.1 della legge reg., il quale stabilisce che la giunta regionale definisce “i requisiti dei soggetti che possono partecipare alle CER”, per i seguenti motivi.


La normativa sulle CER rientra nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», che l’art. 117, co. 3, Cost. assegna alla competenza legislativa concorrente di Stato e regioni.


Ciò detto, le CER sono definite dalla direttiva UE 2018/2001 come (i) un soggetto giuridico autonomo,

(ii)  controllato da membri che si trovano vicino agli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili (i quali appartengono alla CER), e (iii) i cui membri sono persone fisiche, PMI e autorità locali, compresi i comuni (art. 2.2, n. 16, direttiva).


L’Italia ha recepito la direttiva con il d.lgs.199/2021. L’art.31.1deld.lgs.199/21stabilisce i requisiti per la partecipazione alle CER:


  • i poteri di controllo spettano esclusivamente a persone fisiche, PMI, associazioni con personalità giuridica, enti territoriali e autorità locali inclusi i comuni, enti di ricerca e formazione e del terzo settore;


  • la partecipazione delle imprese alle CER non può costituire l'attività commerciale e industriale principale;


  • la partecipazione alle CER è aperta a tutti i consumatori, compresi quelli appartenenti a famiglie a basso reddito o vulnerabili.


I requisiti e le condizioni per partecipare alle CER sono improntati al principio della massima apertura contenuto nella direttiva UE. L’art. 22.1 della direttiva stabilisce che gli stati membri assicurano che i clienti finali abbiano diritto di partecipare alle comunità senza essere soggetti a condizioni o procedure ingiustificate e discriminatorie.


Secondo la Corte costituzionale, i requisiti dettati dalla legge statale esprimono un principio fondamentale della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», diretto a garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale la più ampia possibilità di partecipare a una CER, in attuazione di quanto stabilito dall’Unione europea.


Perciò, la norma della legge regionale contrasta con questo principio fondamentale, perché affida alla Regione il compito di definire i requisiti perpartecipare a una CER, mentre essi sono invece già definiti in modo esaustivo dalla legge statale.



DISTRIBUZIONE GAS

Calcolo del valore di rimborso delle reti nelle concessioni assegnate con gara dopo il decreto Letta (TAR Piemonte, sez. II, 29 marzo 2023, n. 284)

2i Rete Gas ha impugnato il bando di gara di distribuzione gas dell’ATEM Biella, sostenendo che la quantificazione del valore di rimborso spettante al gestore uscente era errata, perché basata sul “valore dell'investimento” del gestore, anziché sul valore riconosciuto ai fini tariffari (RAB).


Secondo la ricorrente, la procedura faceva seguito a concessioni già assegnate con gara (concessioni post Letta), per cui il valore di rimborso al gestore uscente avrebbe dovuto essere determinato in base all'art. 14, comma 8, d.lgs. 164/2000, come riformato dal d.lgs. 93/2011. In particolare, bisognava prendere come riferimento il valore riconosciuto dalla regolazione tariffaria (RAB), applicabile nella situazione a regime dopo le prime gare.


Il TAR Piemonte ha respinto il ricorso affermando che il valore di rimborso deve essere calcolato con i criteri ordinari e non sulla base della RAB.


Le concessioni sono state affidate secondo la normativa anteriore al d.lgs. 93/2011, che ha modificato il valore di rimborso: infatti, le gare sono state tutte bandite, con indicazione del valore di rimborso, prima del 28 giugno 2011, data di entrata in vigore del d.lgs. 93/2011.


Il gestore uscente, dunque, si trovava nella condizione di essere, da un lato, concessionario dopo una gara pubblica, il che – in base al testo dell'art. 14, co. 8, d.lgs. 164/2000 – dovrebbe indurre a riconoscere un valore di rimborso pari alla RAB.


Secondo il TAR, l'interpretazione letterale dell'art. 14, co. 8, d.lgs. 164/2000, che impone la quantificazione del valore di rimborso in base alla RAB per tutte le gare successive alla prima, non è corretta.


Il presupposto logico per calcolare il valore di rimborso in base alla RAB è che il gestore uscente sia a conoscenza che, alla fine della concessione, potrà ottenere solo la RAB e, di conseguenza, possa fare un piano di investimenti calibrato.


Tuttavia, solo chi ha partecipato a gare indette dopo il 28 giugno 2011 poteva essere consapevole che, in caso di aggiudicazione, l’indennizzo che gli sarebbe stato riconosciuto al termine della concessione sarebbe stato corrispondente alla RAB.


Chi ha partecipato a gare bandite prima della modifica apportata dal d.lgs. 93/2011 non lo poteva sapere, perché prima di quel momento il valore di rimborso al termine della concessione era calcolato in base al "valore dell'investimento".


In tal caso, infatti, l'operatore che ha partecipato alla gara e si è aggiudicato il servizio l'ha fatto nella convinzione di poter ottenere, alla fine della concessione, il prezzo versato per acquistare gli impianti al netto degli ammortamenti, secondo la versione previgente dell'art. 14, co. 8, d.lgs. 164/2011. Perciò, se egli potesse esigere dal gestore subentrante solo la RAB (e, dunque, un valore tendenzialmente inferiore al prezzo d'acquisto ammortizzato), il suo legittimo affidamento sarebbe leso.


In conclusione, il TAR ha affermato che il rimborso al valore RAB non opera – come indurrebbe la formulazione letterale dell'art. 14, comma 8, d.lgs.164/2000 – per tutte le gare successive alla prima, ma solo per le gare successive ad altre gare indette nel periodo di vigenza del d.lgs. 93/2011 il quale ha introdotto la liquidazione con il valore di RAB.


In caso contrario, infatti, l'art. 14, co. 8, d.lgs. 164/2000 sarebbe in contrasto con principi primari dell'ordinamento e, in particolare, con la tutela del legittimo affidamento del gestore uscente di ottenere la quota non ancora ammortizzata del valore di rimborso dei propri reti e impianti.


La soluzione del TAR è condivisibile in quanto pone rimedio ad un elemento di illogicità presente nell’art. 14, comma 8, d.lgs. 164/2000, interpretando la norma in modo coerente con l’ordinamento giuridico.



DISTRIBUZIONE GAS

Avvio della riforma del Codice di rete tipo della distribuzione gas (ARERA, delibera 6.06.2023 n. 249/2023/R/gas)

L’Autorità per l’energia, con la delibera 6 giugno 2023, n. 249/2023, ha rinnovato il procedimento per la revisione del codice di rete tipo di distribuzione gas (codice tipo).


La delibera ARERA 138/04, allo scopo di promuovere la concorrenza nel mercato di vendita retail e di assicurare l’uniformità degli schemi contrattuali applicati dai distributori nei loro rapporti con i venditori, ha previsto la definizione di un codice di rete tipo applicabile a tutti gli operatori. Il codice tipo è stato approvato con delibera ARERA 108/06.


Tutti i distributori hanno aderito al codice tipo, in alcuni casi con clausole particolari.

L’Autorità, con la delibera 465/2017, aveva rilevato nuove esigenze nel settore della distribuzione gas che richiedevano una revisione generale del codice tipo, con particolare riferimento alla modalità di fatturazione, alla disciplina delle garanzie e alla gestione degli inadempimenti.


Nel primo incontro tecnico con le associazioni dicategoria e con le imprese del settore, gli Ufficidell’Autorità hanno esposto gli obiettivi cheintendevanoperseguireconlarevisionedelcodice:


  • a)  uniformare le procedure per la gestione delle garanzie così da minimizzare gli oneri amministrativi degli utenti della distribuzione (cioè dei venditori);


  • b)  migliorare la coerenza tra le garanzie prestate e l’esposizione dell’impresa di distribuzione nei confronti dell’utente;


  • c)   aggiornare la gamma delle garanzie a disposizione dell’utente della distribuzione;


  • d)   incentivare la regolarità nei pagamenti.


In seguito, l’Autorità è intervenuta con la delibera 737/2022 per integrare la disciplina del codice tipo con il regolamento economico dei casi in cui le fatture di distribuzione emesse generavano un importo totale negativo, cioè nei casi in cui dalla fatturazione scaturisce un debito dell’impresa di distribuzione nei confronti dell’utente (cioè del venditore).


Questa fattispecie ha assunto maggiore rilevanza sia dopo la delibera 296/2022 (con cui l’Autorità ha definito un nuovo valore negativo per la componente UG2c), sia dopo gli aggiornamenti periodici dell’ammontare del bonus sociale.


Con la delibera 737/2022 l’Autorità ha stabilito che, in caso di fatture recanti un importo totale negativo, le imprese di distribuzione sono obbligate a liquidare l’importo entro la stessa scadenza di pagamento delle fatture di distribuzione prevista dal codice tipo per i casi di importi dovuti dall’utente all’impresa di distribuzione.


Ora, l’Autorità intende revisionare il codice tipo dando priorità ai seguenti aspetti: (i) standardizzazione delle regole correlate alle fatture di distribuzione, (ii) definizione della disciplina delle modalità di fatturazione, delle garanzie ammesse e del loro ammontare, (iii) gestione dei casi di inadempimento.


Si attende quindi la pubblicazione dei documenti di consultazione di ARERA relativi alla riforma del codice di rete tipo.



GESTIONE RIFIUTI

Richiesta di adeguamento del corrispettivo per la gestione rifiuti (TAR Milano, sez. IV, del 20/03/2023 n. 694)

Un operatore del settore della gestione dei rifiuti urbani ha impugnato la proroga tecnica di 12 mesi della durata del servizio concessa per consentire lo svolgimento della procedura per la selezione del nuovo gestore, a condizioni economiche invariate rispetto al contratto originario.


Nel ricorso l’appaltatore del servizio ha chiesto al TAR di accertare il proprio diritto all’adeguamento del corrispettivo ai sensi dell’art. 106, comma 1, lett. c) del d.lgs. 50/2016 (precedente codice appalti).


Il TAR Milano ha respinto il ricorso con la seguente motivazione.


L’art. 106, co. 1, lett. c), del d.lgs. 50/2016 stabilisce che le modifiche e le varianti del contratto possono avvenire senza una nuova procedura di affidamento: «c) ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni […]: 1) la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all’oggetto assumono la denominazione di varianti in corso d’opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti; 2) la modifica non altera la natura generale del contratto».


Innanzitutto, una parte della giurisprudenza esclude che la norma sia applicabile alla richiesta di adeguamento dei prezzi dell’appalto, perché la norma si riferisce alla modifica dell’oggetto del contratto: «La norma, osserva il Collegio, disciplina i casi in cui, nel corso di svolgimento del rapporto contrattuale, si renda necessario, per circostanze impreviste e imprevedibili, modificare "l'oggetto del contratto" attraverso "varianti in corso d'opera", ossia "modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale" (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15/11/2021, n. 7602), laddove invece … la domanda formulata dalla parte ricorrente all'amministrazione comunale concerneva unicamente l'adeguamento del prezzo dell'appalto ad asseriti aumenti dei costi del servizio» (TAR Brescia, I, 10/03/2022 n. 239).


In ogni caso, secondo il TAR, anche se si ritenesse applicabile alla fattispecie, l’applicazione della norma richiederebbe una prova rigorosa della riconducibilità dell’aumento dei costi alla «ricorrenza di fatti eccezionali e imprevedibili tali da abbattere l’alea contrattuale dell’imprenditore» (TAR Milano, IV, 26/01/2022, n. 176). Questi «fatti eccezionali e imprevedibili» devono essere individuati e dimostrati dall’impresa richiedente.


Nel caso in esame, l’impresa si era limitata ad affermare che l’aumento dei costi sostenuti per la frazione secca e i rifiuti ingombranti aveva assunto proporzioni talmente elevate da avere di per sé il requisito dell’imprevedibilità idonea a giustificare l’aumento del prezzo. Tale impostazione non è stata però condivisa dal TAR per le seguenti ragioni.


Primo: l’impresa non aveva assolto all’onere di indicare quali erano le circostanze di fatto specifiche ed eccezionali che avrebbero alterato la dinamica ordinaria dei prezzi di smaltimento, e di provare l’incidenza sui prezzi applicati alla stessa impresa. La sola entità dei rincari, di per sé, non è idonea all’identificazione della causa imprevedibile che ha innescato gli aumenti.


Secondo: la giurisprudenza ha precisato che la revisione del prezzo indicato come corrispettivo nel contratto di appalto presuppone un incremento dei costi intervenuto in fase di esecuzione delle prestazioni e derivante da circostanze imprevedibili al momento della sottoscrizione del contratto. La revisione del prezzo ha lo scopo di tenere indenni gli appaltatori pubblici da aumenti dei prezzi dei fattori della produzione suscettibili di incidere significativamente sull'utile da essi preventivato, creando effetti che potrebbero incidere negativamente sull’esecuzione del servizio (TAR Emilia-Romagna, Parma, I, 1/12/2020, n. 223).


Perciò, per l’operatività dell’art. 106, comma 1, lett. c), la causa dell’aumento dei costi non deve essere prevedibile da parte della PA al tempo della stipula, e deve essere riconducibile a fattori estranei alla sfera di controllo dell’imprenditore, cioè a circostanze «imprevedibili e non imputabili» all’appaltatore (Cons. Stato, III, 14/04/2022, n. 2826).


Nel caso in esame, il capitolato prevedeva che i costi di smaltimento da parte erano a carico dell’appaltatore e rimetteva solo a lui l’individuazione dell’impianto di conferimento, contrattando il relativo prezzo in via completamente autonoma. In mancanza di fattori esterni individuati e provati, il prezzo applicato dall’impianto prescelto trova titolo nel contratto stipulato dall’appaltatore, e come tale è «imputabile» solo all’appaltatore (Cons. Stato, III, 14/04/2022, n. 2826). Anche sotto tale profilo, secondo il TAR Milano, non c’è spazio per l’applicazione dell’art. 106, comma 1, lett. c).


Terzo: in mancanza della prova dei requisiti di imprevedibilità per l’ente pubblico e non imputabilità all’appaltatore di cui all’art. 106, comma 1, lett. c), l’ipotetico aumento del corrispettivo riconosciuto all’impresa porterebbe al risultato paradossale di premiare, anziché l’imprenditore che presenta un’offerta sostenibile e coerente con i valori di mercato, l’operatore che, pur di aggiudicarsi la commessa, produce offerte economicamente insostenibili, salvo chiedere dopo l’adeguamento del corrispettivo.



VENDITA ENERGIA

Potere di ARERA di ordinare la restituzione di somme percepite indebitamente dai clienti non contrasta con direttiva 2009/72/CE (CGUE, Sez. V, 30.03.2023, C-5/22)

L’Autorità per l’energia ha accertato che una società di vendita di energia elettrica e di gas applicava ai propri clienti un corrispettivo previsto dalle condizioni generali dei contratti di fornitura a copertura dei costi di gestione amministrativa. Il fornitore poteva fatturare ai clienti, a titolo di costi di gestione amministrativa, a seconda dei casi, un importo massimo di 5 euro o di 10 euro al mese.


Secondo ARERA questo corrispettivo era illegittimo perché non era indicato nella scheda di confrontabilità, che permette di confrontare le diverse offerte commerciali sul mercato, e nel sistema di ricerca delle offerte. Perciò, l’Autorità ha irrogato, con delibera del 20 giugno 2019, una sanzione amministrativa di euro 655.000 alla società per aver comunicato ai propri clienti finali informazioni contrattuali che violavano le sue regole. Inoltre, l’Autorità ha ordinato alla società di vendita di restituire ai clienti la somma di quasi 14 milioni di euro, riscossa da questi ultimi a titolo di costi di gestione amministrativa.


La società ha impugnato la delibera davanti al giudice amministrativo contestando che l’ordine di restituire il corrispettivo ai clienti era illegittimo per contrarietà con la direttiva UE 2009/72, perché si trattava di un importo stabilito con un contratto tra soggetti privati.


Il Consiglio di Stato ha sospeso il giudizio e ha sottoposto alla Corte di Giustizia (CGUE) la questione pregiudiziale di stabilire se l’art. 37, par. 1, lett. i) ed n), e par. 4, lett. d), della direttiva 2009/72 ostano a che uno Stato membro conferisca all’autorità di regolazione nazionale il potere di ordinare alle società elettriche di restituire ai loro clienti la somma corrispondente al corrispettivo versato da questi ultimi a titolo di «costi di gestione amministrativa» in applicazione di una clausola contrattuale considerata illegittima dall’Autorità.


La Corte di Giustizia ha stabilito che le norme della direttiva europea non sono ostative all’ordine di restituire gli importi riscossi illegittimamente.


Secondo la Corte, l’art. 37, par. 1, lett. i) ed n), della direttiva 2009/72 prevede che l’autorità di regolazione nazionale sia investita dei compiti di vigilare sul rispetto, da parte delle società elettriche, degli obblighi in materia di trasparenza, e di garantire che le misure di tutela dei consumatori siano effettive.


L’art. 37, par. 4, della direttiva stabilisce che gli Stati membri devono provvedere affinché le autorità di regolazione siano dotate dei poteri necessari per assolvere con efficacia e rapidità i compiti previsti dai paragrafi 1, 3 e 6 dello stesso art. 37; a tal fine, devono essere conferiti alle autorità di regolazione almeno i poteri elencati nel paragrafo 4.


L’art. 37, par. 4, lett. d), della direttiva 2009/72, prevede che l’Autorità abbia il potere di imporre “sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive” alle società elettriche che non ottemperano agli obblighi imposti dalla direttiva o dalle decisioni della stessa Autorità.


La norma non menziona il potere di esigere dalle società che  restituiscano  qualsiasi  somma  percepita in virtù di una clausola contrattuale considerata illegittima. Tuttavia, l’utilizzo nell’art. 37, par. 4, dell’espressione «all’autorità di regolamentazione devono essere conferiti almeno i poteri seguenti» indica che  possono essere  attribuiti  all’autorità  anche poteri diversi da quelli espressamente menzionati nell’art. 37, par. 4.


Perciò, dato che assicurare l’osservanza degli obblighi di trasparenza da parte delle società elettriche e tutelare i consumatori rientra tra i compiti previsti dall’art. 37, paragrafi 1, 3 e 6, della direttiva, uno Stato membro può concedere all’autorità di regolazione il potere di ordinare agli operatori la restituzione delle somme percepite in violazione delle prescrizioni in materia di tutela dei consumatori, specialmente quelle riguardanti l’obbligo di trasparenza della fatturazione.


In conclusione, secondo la Corte di Giustizia l’art. 37, par. 1, lett. i) ed n), e par. 4, lett. d), della direttiva 2009/72/CE e l’allegato I della direttiva 2009/72, non ostano a che uno Stato membro conferisca all’autorità di regolazione il potere di ordinare alle società elettriche di restituire ai loro clienti la somma corrispondente al corrispettivo versato da questi ultimi a titolo di «costi di gestione amministrativa» in applicazione di una clausola contrattuale considerata illegittima da tale autorità.


Ciò vale anche nel caso in cui l’ordine di restituzione non sia fondato su ragioni attinenti alla qualità del servizio fornito dalle società, ma solo sulla violazione di obblighi di trasparenza tariffaria.







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